Corriere della Sera, 6 ottobre 2007
L'Opera che don Escrivà non voleva
di Vittorio Messori
Fu giusto cinque anni fa, il 6 ottobre del 2002, in quella piazza San Pietro che aveva visto folle innumerevoli, ma mai una di tale dimensione. Per quanto conta, ne ho un ricordo privilegiato, almeno quanto a prospettiva visiva, trovandomi accanto a Giuseppe De Carli per aiutarlo nella lunga diretta televisiva. Il palco della Rai era una sorta di palafitta accanto al colonnato : da quella posizione elevata si vedeva come la marea umana fosse divisa in settori squadrati, dove ciascuno aveva il suo posto. Forse, un centomila persone, capaci peraltro di un silenzio impressionante, quando la liturgia lo richiedeva o quando il Papa parlava .
Ma, al di là del rigoroso ordine nello spazio ideato dal Bernini, la folla nereggiava compatta per l’intera via della Conciliazione, sino al Tevere. Anzi, ben oltre, tanto che, per salutare tutti, Giovanni Paolo II in papamobile fece addirittura il periplo di Castel Sant’ Angelo. A conti fatti, circa mezzo milione. Le telecamere inquadrarono volti bagnati dal pianto: piangevano perchè erano venuti da lontano, magari dando fondo ai pochi risparmi, ma i limiti fisici della piazza avevano impedito loro di avvicinarsi .Era la liturgia di canonizzazione di Josemarìa Escrivà de Balaguer, il “fondatore“ dell’Opus Dei. Le virgolette sono giustificate, le esigeva lo stesso interessato quando – malgrado il suo desiderio di nascondimento – si scriveva di lui. <
C’è, qui, un aspetto decisivo, eppure quasi sempre ignorato, dell’autocoscienza di una delle istituzioni cattoliche più amate (come confermò l’impressionante marea umana del 2002) e, al contempo, più contestate se non detestate, talvolta persino all’interno stesso della Chiesa. Amici e nemici spesso non sanno quale sia la realtà con cui si confrontano. Dunque, a un lustro esatto dalla canonizzazione, va ricordato che non solo don Josemarìa non voleva “fondare“ alcunché (meno che mai l’Opus Dei) ma vi fu costretto e vi si accinse, come confessò, <<de mala gana>>, di mala voglia.
Così, in effetti, andarono le cose: il mattino del 2 ottobre del 1928, il pretino aragonese di 26 anni, venuto a Madrid per completare gli studi in diritto, si trova nella camera assegnatagli per seguire esercizi spirituali di routine in una casa dei Vincenziani. Il giovane sacerdote non ha un temperamento mistico ma , semmai, pragmatico, da organizzatore e non da profeta, tanto da essere stato incerto tra seminario e politecnico, tra teologia ed architettura civile. Anche ora pensa a un futuro da solido amministratore di curia, non certo da prete carismatico. La sua spiritualità, che resterà tale per tutta la vita e trasmetterà poi ai discepoli ( l’Opus Dei non è per nulla milagrera), non attende “segni“ ma addirittura ne diffida, convinta che Dio parli attraverso le vicende quotidiane. Ebbene, proprio mentre le campane della chiesa vicina suonano il mezzogiorno, avviene “l’evento” – inaspettato e sconvolgente – che muterà la vita non solo di don Josemarìa ma di innumerevoli persone nel mondo e che porterà alla prima, e sinora unica, Prelatura Personale della Chiesa, con 84.000 seguaci, tra i quali 1.800 sacerdoti, in ogni continente. Per dirla con le parole del Postulatore della causa di canonizzazione: <